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    PROJECT ROOM

    AGNE RACEVICIUTE

    19 Settembre – 31 Ottobre 2009

    Opere

    La galleria Otto Zoo in occasione di Start Milano – Weekend per l’arte contemporanea, presenta la prima personale di Agne Raceviciute, una giovane artista lituana che lavora tra Treviso e Venezia, selezionata quest’anno anche per gli atelier della Fondazione Bevilacqua La Masa.

    Con questa mostra la galleria inaugura OTTO ZOO PROJECT, un progetto che nasce dal desiderio di offrire ai più giovani, che spesso non hanno mai esposto il loro lavoro in una personale, la possibilità di misurarsi con lo spazio di una galleria in un intervento site- specific.

    L’intento è quello di permettere ad ognuno degli artisti selezionati di sviluppare un proprio progetto originale, dalla fase ideativa a quella allestitiva, prediligendo, ma non in maniera esclusiva, l’utilizzo dei nuovi media. Il video dunque diventa punto di partenza per una nuova riflessione su come i giovani artisti si rapportano e fanno dialogare tra loro nuovi e vecchi mezzi espressivi. Ogni mostra sarà quindi concepita come un unico progetto espositivo.

    Le fotografie, i video, le installazioni e le composizioni di Agne Raceviciute presentano personaggi senza volto, dagli abiti estrosi, realizzati con ceramiche e tessuti, quasi un’ironica parodia della fotografia di moda. L’artista racconta il suo vissuto e i suoi ricordi: visioni oniriche che uniscono al fascino della tradizione del suo paese natale, un’immagine pungente della realtà. I materiali prendono forma per venir subito bloccati in una dimensione senza tempo, dall’equilibrio precario ed essenziale.

    Ad Agne Raceviciute seguiranno nel corso dell’anno, e parallelamente all’attività espositiva della galleria, i progetti degli altri artisti selezionati chiamati ad interpretare lo spazio di Otto Zoo da prospettive ogni volta differenti.

    Intervista di Marco Tagliafierro ad Agne Raceviciute.
    Marco Tagliafierro: Il sistema di immagini che hai costruito in occasione di questa mostra

    sembra fondarsi sul ricorrere di alcuni segni anche comportamentali

    Agne Raceviciute: Sì, si tratta di un percorso che non ho la presunzione di chiamare iniziatico, ma che descriverei come un’esperienza affettiva, emotiva, un percorso a ritroso nei miei ricordi che ora voglio condividere con lo spettatore della mostra.

    MT: Che cosa popola questi ricordi?
    AR: La natura indomita dei luoghi della mia infanzia.
    MT: Si tratta dunque di immagini relative alla tua personale esperienza della natura?

    AR: Sì, quelle immagini sono fortemente impresse nella mia mente, quasi un archivio di scatti registrati dal mio occhio ed archiviati dalla mia mente.

    MT: Cosa c’è di oggettivo e quindi di condivisibile in tutto ciò?

    AR: L’esperienza che un bambino fa della natura vera, nel mio caso si tratta di boschi incontaminati, di mare aperto, è più o meno la stessa in ogni parte del mondo; esprime il senso di infinito che la natura stessa significa.

    MT: Quindi pensi che lo spettatore possa riconoscersi, identificarsi con le immagini che proponi?

    AR: Sì, questa è la mia speranza, soprattutto per quanto riguarda il video, poiché l’ho pensato sulla base di uno storyboard concepito per organizzare le “visioni” di bambina, quelle riguardanti il paese di Juodkrante nella penisola di Neringa in Lituania, dove passavo lunghi periodi in compagnia di mia nonna. Lo storyboard mi ha aiutato a creare una narrazione per le immagini che ho girato in quei luoghi quest’estate. La narrazione aiuta il pubblico a seguirmi nel tragitto della memoria.

    MT: Quindi tu hai voluto riprendere i luoghi della tua infanzia per sostituire le tue impressioni mentali con immagini tangibili?

    AR: Sì.

    MT: So che tu hai lavorato altre volte con il video ed il tuo modo di utilizzare questo medium denuncia una cultura cinematografica raffinata ed inusuale per una ragazza della tua età. Ti capita di sovrapporre mentalmente, interfacciare o addirittura sostituire, sempre nella tua mente, i tuoi ricordi con delle sequenze cinematografiche?

    AR: Certo anche spesso. In molti casi il ricordo del mio vissuto si fonde con le scene di un film che ho amato e che cito nei miei lavori al fine di trovare con lo spettatore un terreno comune che consenta un vero confronto.

    MT: Un esempio?

    AR: Il “colore del melograno” di Sergei Paradjanov, un film bellissimo nel quale le immagini sovrastano tutto il resto. Dalle emozioni provate ammirando quella pellicola ho maturato il desiderio che il mio film venisse percepito come fotografia in movimento.

    MT: Il film che hai citato narra la vicenda biografica di un poeta ma questo non è altro che il pretesto per Paradjanov di affrontare il tema del ruolo dell’artista all’interno della società in cui vive ed opera e in cui si è formato. Anche tu hai voluto affrontare il tema dell’artista in rapporto al contesto dove è nato e vissuto?

    AR: Non proprio. Il mio video è il ritratto di un paesaggio dell’anima oltre che geografico, un paesaggio che si configura come il ritratto di una natura selvaggia al cui interno si muove un’anziana signora interamente avvolta in una veste nera come la pece. In ultima analisi il mio è un ritratto del difficile equilibrio tra ponderabile ed imponderabile verso il quale la vita di ogni essere vivente anela. L’ho espresso attraverso il lento incedere della donna che significa saggezza concreta, tangibile ed il movimento delle piante agitate dal vento che esprime l’imponderabilità della natura che custodisce il segreto della vita. Poi compaio io, nell’ultima fase del percorso. In quelle scene esprimo vitalità anzi esuberanza, quella delle persone che hanno la mia età, in netto contrasto con la senilità che caratterizza l’altro soggetto, l’altro personaggio, mia nonna appunto.

    MT: Quindi se compari anche tu vuol dire che non hai girato da sola tutte le scene? AR: Infatti le ultime le ha girate il mio fidanzato.

    MT: Avresti permesso a qualcun altro non coinvolto sentimentalmente con te di entrare in questo progetto così intimo?

    AR: Hai detto bene! Intimo! E’ un progetto molto delicato, io ho fatto questo lavoro forse per confrontarmi con mia nonna, la persona della mia famiglia che per me esprime, più di ogni altra, un senso di saggezza e per parlare con lei di quelle cose di cui di solito non si

    parla mai, del senso della vita.

    MT: Temi epocali. Come hai fatto a restituire con leggerezza queste conversazioni avute con tua nonna, queste conversazioni che hanno accompagnato, per non dire motivato, quei giorni di riprese?

    AR: Ma sai, quelle conversazioni sono avvenute con grande naturalezza, vivendo, cioè mangiando, cucendo. Mia nonna è una persona del nostro tempo. E’ saggia, vive nella natura ma tutte le mattine va a lavorare in città!

    MT: Cucendo? Gli abiti che presenti in mostra gli hai realizzati tu? Sono quelli del video? Anche le corde?

    AR: Sì certo! Vedi, ci sono attaccate ancora delle foglie e alcune corde sono ancora sporche di fango o impastate di sabbia. Volevo che lo spettatore potesse sentire l’odore di quelle piante, di quella terra e di quel mare che ho immortalato nel mio piccolo film.

    MT: Film?

    AR: Sì, il “film d’artista” è un medium a parte, non è la stessa cosa del “video”. I miei forse sono più film che video. La lunghezza lo dimostra. Anche se oggi non si usa più parlare di video solo a proposito di un girato breve.

    MT: Quindi gli oggetti che presenti in mostra, anche le immagini, sono un ingresso tra i tanti possibili che tu proponi per preparare lo spettatore alla proiezione?

    AG: Sì. Volevo che lo spettatore vivesse un’esperienza sinestetica nel vero senso della parola.

    MT: Perché hai creato queste piastre lucide, nere, sono dei supporti per gli abiti?

    AG: Più che dei supporti sono delle impaginazioni pensate per dare un ritmo ai simboli che caratterizzano questa mostra. Le piastre stesse portano in sé dei simboli. Si tratta di due rombi che ho elaborato. Quello dal perimetro tortuoso come il sentiero di una lunga vita quale si prospetta essere quella di mia nonna rappresenta appunto mia nonna, l’altro, quello più semplice, rappresenta me che ho vissuto meno e di conseguenza annovero nel mio bagaglio esperienziale meno pensiero, meno azione.